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a cura di

Tonino Cantelmi∗, Maria Beatrice Toro∗∗, Emiliano Lambiase∗∗∗

SCINT – Scuola di specializzazione in psicoterapia Cognitivo Interpersonale

Riassunto

Nel presente lavoro descriviamo un caso clinico (Disturbo Alimentare in una giovane donna con tratti di personalità drammatico-emozionali) inquadrato e trattato secondo l’approccio Cognitivo Interpersonale. La centralità attribuita alla dimensione interpersonale e al ruolo che essa ricopre per la formazione della personalità porta questo approccio a esuberare una valutazione solo relativa alla coerenza interna della mente, per concentrarsi, in modo specifico, sul rapporto del Sé con l’Altro, del paziente con il terapeuta.

Parole chiave

Disturbi alimentari Psicogeni, Cognitivismo Post Razionalista, Terapia Interpersonale, Psicoterapia Cognitivo Interpersonale

Nel presente lavoro descriviamo un caso clinico (Disturbo Alimentare in una giovane donna con tratti di personalità drammatico-emozionali) inquadrato e trattato secondo l’approccio Cognitivo Interpersonale (Cantelmi T., 2009). In tale ottica, la ricchezza del modello Cognitivo Post Razionalista è ampliata dall’utilizzo dei Modelli Interpersonali, che tanto stanno modificando il modo corrente di comprendere e trattare il paziente grave o, comunque, che presenti difficoltà nell’identificazione di sé e problemi di tipo relazionale.

I Modelli Interpersonali consentono, infatti, al terapeuta, un’alta specificità nel leggere e affrontare gli schemi relazionali auto-invalidanti, tipici dei disturbi di personalità. (Cantelmi, T.,Toro, M.B. 2008). Riconoscere tali schemi consente di verificare come, in ogni relazione, ma, in particolare, in quella terapeutica, alcune persone presentino aspettative e comportamenti di estrema problematicità ai quali il terapeuta è chiamato a rispondere in modo efficace e curativo. La persona può, infatti, presentare atteggiamenti che aumentano drasticamente i rischi di un dramma relazionale, per il noto effetto della “profezia che si autoavvera”. Dato che la paziente della quale parleremo si aspetta di essere, ad es., abbandonata, le sue strategie di gestione del rapporto, ad es. compiacenti, ma anche controllanti o, più spesso, indirettamente ostili, possono ingenerare nell’altro un sentimento di disagio che produce, paradossalmente, proprio quella propensione ad allontanarsi inizialmente temuta.
Utilizzare la relazione con il terapeuta come oggetto di osservazione, aiutando la paziente a uscire dai giochi che tende a mettere in opera quando sente che l’intimità del rapporto sta per aumentare, rappresenta l’aspetto “implicito” della relazione terapeutica Cognitivo Interpersonale, che può essere esplicitato a vantaggio del cambiamento e dell’evoluzione personale della paziente. Quando, infatti, in terapia, si instaura una dinamica ripetitiva, rigida, ciò significa che il terapeuta ha, senza volerlo, risposto competitivamente alla sfida che il suo paziente gli ha proposto, senza riuscire a mettere a fuoco la situazione. Utilizzando il linguaggio del Modello Interpersonale di Lorna Benjamin (1996, 2003) potremmo dire che è probabile che il terapeuta abbia messo in atto una risposta “simile” o “complementare” a quella del paziente. Nel primo caso, molto probabilmente si svilupperà un rapporto un rapporto di tipo conflittuale e, pertanto, instabile. Nel secondo, invece, è possibile che il terapeuta colluda con il paziente. Riuscire ad analizzare e comprendere la situazione permetterà, invece, di dare al paziente un’opportunità. Consentirà di focalizzare, per poi riuscire a modificare, quegli atteggiamenti che producono sistematici effetti disfunzionali nella vita del paziente, di modo che, ogni volta che si presenteranno, il terapeuta avrà la possibilità di comprendere e intervenire direttamente utilizzando il principale strumento di intervento che ha a disposizione, che consiste, fondamentalmente, nella propria stessa interiorità e nei propri comportamenti.

Il modello di Lorna Benjamin ci aiuta in quanto, una volta identificato lo stile relazionale del paziente e, più nello specifico, di volta involta, l’azione specifica messa in atto nella relazione terapeutica, potremo scegliere il tipo di comportamento che, con più probabilità (in base alle previsioni specificate dai “principi predittivi”), favorirà il comportamento o l’atteggiamento che vogliamo incoraggiare. Agendo in questo modo riusciamo a superare i “test” relazionali di fronte ai quali ci pone il paziente, confutando così, allo stesso tempo, le ipotesi patogene che lo limitano nel sentirsi sicuro nelle nuove relazioni interpersonali (Weiss, 1993). È una possibilità “emotiva” di fare nuovi apprendimenti su se stesso e sull’altro che, in precedenza, gli erano impediti dal perpetuarsi di vecchi modelli che si autoalimentavano e sostenevano.
Per descrivere lo stile interpersonale ed intrapsichico della paziente faremo riferimento al modello SASB completo (Structural Analysis of Social Behavior oppure, in italiano, ASCI – Analisi Strutturale del Comportamento Interpersonale) nel quale i comportamenti vengono descritti su tre circomplessi: Sé (o Rispondente), Altro (o Proponente) ed Introietto. Su ognuno di essi sono distribuiti 8 comportamenti prototipici per ogni quadrante più uno per ognuno dei quattro estremi degli assi cartesiani. All’interno del testo metteremo la codifica SASB tra parentesi, di fianco alla descrizione dello stile relazionale del paziente, specificandola tramite tre numeri: il primo indicherà la superficie (1 per Altro, 2 per Sé e 3 per Introietto), il secondo il quadrante (1 per quello in alto a destra e gli altri a seguire il senso antiorario) ed il terzo il comportamento (da 1 a 8 aumentando lungo l’asse delle ordinate, 0 per quelli che descrivono i poli degli assi di riferimento del modello).

La personalità che predispone a Disturbi Alimentari Psicogeni

Priscilla ha 33 anni e giunge in uno stato di profonda prostrazione: ha subito numerosi interventi chirurgici (bendaggio gastrico, riduzione ileo pancreatica) che hanno comportato ferite e aderenze nell’addome, rendendo impossibile lo svolgimento di una vita normale. Il suo peso ha continuato a oscillare e l’auspicato dimagrimento non si è mai verificato. È una donna molto curata e gradevole nell’aspetto nonostante i chili di troppo: truccata, vestita di nero, enfatica nel modo di gesticolare e parlare. Si vede assolutamente sgradevole, rinchiusa in un corpo inaccettabile che le procura sofferenze quotidiane. L’atteggiamento è volto a amplificare segnali che possano procurarle un consenso: anche da parte del terapeuta. Nonostante il dolore fisico Priscilla sorride, è ironica, giunge sempre un po’ in anticipo e porta caramelle, dolci, chewing gum che offre a noi e alle segretarie dello studio. Ben presto diventa una persona “speciale”, conosciuta da tutti.
L’elemento invariante nel tipo di organizzazione personologica della paziente è costituito dalla sensazione di trovarsi “esposti” a uno sguardo, con una percezione di sé vaga ed indefinita (spesso carica di ansia, vergogna, paura), da cui deriva la necessità di riferirsi a “qualcosa” di esterno per ricavare il senso di sé (modalità Outward). La persona, in particolare, avverte la necessità di passare, più che attraverso “qualcosa”, attraverso “qualcuno”, ovvero attraverso il dialogo immediato con l’altro che la aiuti a trovare il senso della propria esperienza.
“Sto vivendo un’esperienza positiva? Cosa ne pensi? Ti ho commosso? Ti ho conquistato? Come sono andato?”
Si tratta di una necessità di tipo “epistemologico”, nel senso che l’accesso al proprio sentire nella persona con uno stile di personalità DAP non è immediato: la persona non si “autorizza” a sentirsi più o meno bene se non confrontandosi con la percezione dell’emozione di un altro, con la quale entrare in sintonia (o alla quale opporsi).
“Cosa ti ho suscitato? Mi sento come ciò che ti ho suscitato.” Oppure “Contesto ciò che ti ho suscitato; non sono d’accordo”.
Nel sintonizzarsi con l’esterno (per poi compiacere o opporsi) Priscilla oscilla tra la ricerca di approvazione e la necessità di non essere invasa (perdere i confini in una relazione simbiotica, non più in grado di produrre significato in quanto il dialogo è stato sostituito da una sintonia soverchiante). La nostra riflessione, di carattere Cognitivo–Interpersonale, ci porta a vedere la caratteristica di questo stile DAP in una sorta di necessità di “polimorfismo” della vita interiore, laddove il pensiero dell’altro “continuamente si trasfonde nel modo di sentirsi, modificando la forma della vita interiore (polimorfismo), perturbando il perimetro della personalità” (Toro, M.B., 2009).

Alla ricerca del consenso

L’altro rappresenta, per Priscilla, una “via maestra” per poter accedere al proprio pensare. Una strada tortuosa, indiretta, eppure sempre immediata, fresca e rinnovata a ogni contatto. Gli aspetti impliciti della psicoterapia Cognitivo Interpersonale, di fronte a una paziente DAP, prendono una forma particolare, che deve rispondere alla necessità, per Priscilla, di sentirsi “speciale” per noi, ma anche di non essere soverchiata. Per fare ciò, sarà fondamentale che, implicitamente, accogliamo con interesse le emozioni delle quali si vergogna, disconfermando il suo assunto di doversi porre “nel modo giusto” (rinunciando alla veridicità dell’esperienza emotiva) davanti a noi. Nella prassi terapeutica sarà altrettanto importante sottolineare positivamente ogni momento di chiarezza in cui Priscilla dovesse rivelare un suo dubbio su di noi, poiché ha bisogno di nuovi apprendimenti che le indichino la possibilità di definirsi per quello che sente, senza dover necessariamente sedurre.
Alla luce della Teoria Interpersonale, poi, sarà importante notare quali siano i modi in cui si declina questa dipendenza dal contesto e dal consenso, nonché i momenti di oppositività. Va detto, infatti, che, oltre alla seduttività, Priscilla mostra dei momenti di “pretesa” di attenzioni, nei quali svaluta il modo in cui l’altro si comporta o si propone per poter salvaguardare, di fronte a una critica, un’autostima sufficientemente elevata. Priscilla sa mettere in atto, di fronte a critiche che non accetta, una svalutazione che si esprime attraverso comportamenti attivamente e direttamente aggressivi (attacca, distrugge: 130; si avvicina minacciando: 131; punisce, si vendica: 133; accusa, biasima; 135) o passivamente e indirettamente aggressivi (contesta disperatamente: 230; fugge, si ritira: 221; rifiuta aiuto ed attenzioni 222; si allontana e piange tra sé e sé: 223; si trincera, non si apre: 225; si isola in cose proprie: 226; sfida, fa l’opposto: 227; va per conto proprio).
In ogni caso, la sua oscillazione emotiva di base è fra orgoglio e colpa, che mediano la valutazione positiva o negativa di sé nel contesto interpersonale immediato. Questo risulta n linea con la comprensione Post Razionalista del caso.
“L’attenzione al campo interpersonale (giudizio dell’esterno) si traduce in una percezione vaga e indefinita del senso di sé e, quindi, nell’oscillazione fra bisogno di approvazione da parte di persone significative e paura di poter essere intrusi o disconfermati da tali persone.” (R. Proietti, 2009, modificato da Guidano, 19873). Lo stile di attaccamento può essere classificato come Evitante A4, Acquiescenza Compulsiva (Crittenden, 1999), come nel caso in esame. In questo stile di attaccamento i legami vengono mantenuti con una strategia di evitamento: il soggetto non mostra apertamente il proprio bisogno di vicinanza ma limita le manifestazioni emotive spontanee e amplifica atteggiamenti compiacenti che possano provocare manifestazioni positive da parte dell’altro. Non mancano, tuttavia (come avviene specialmente nelle pazienti anoressiche), come abbiamo detto, importanti elementi di oppositività e aspetti riconducibili a elementi di attaccamento coercitivo. In ogni caso, sia che l’esterno venga percepito come desiderabile o come criticabile, la modulazione del senso di sé sul giudizio degli altri viene elaborata, a livello di percezione interiore, come un senso di vuoto e di “inattendibilità”: la persona ha difficoltà a sentirsi e a fidarsi di se stessa.

Il problema presentato

Al primo incontro Priscilla lamenta una serie di problemi e afflizioni che vede come vicoli ciechi, luoghi dai quali non sa uscire e nei quali è finita giorno dopo giorno nel corso della sua vita. Il lavoro le pesa, fa fatica a uscire di casa al mattino, ha una relazione sentimentale “sbagliata” e fisicamente sta sempre peggio. Attribuisce, vagamente, la genesi di questi problemi a eventi di vita che la hanno, a suo modo di vedere, influenzata.
L’anamnesi rivela due eventi precoci di estrema drammaticità, ovvero la morte del padre, avvenuta a pochi mesi dalla nascita della paziente e l’aborto di una delle due gemelle che erano in utero: l’altra è Priscilla, inaspettatamente sopravvissuta. La sua figura d’attaccamento principale è la madre, che, tuttavia, è vista sotto una luce negativa, come una persona, in fondo, incapace e deludente. Priscilla ha difficoltà a separarsi rispetto a lei: vive in un appartamento adiacente, o meglio, un unico grande appartamento con un doppio ingresso.
Dice di sentire che c’è qualcosa che non va nel suo modo di vivere e vuole essere aiutata a sentirsi “normale”.
I problemi presentati e l’obiettivo così definito vengono studiati durante le prime sedute, giungendo, attraverso la messa a fuoco delle emozioni critiche, a una riformulazione che consenta alla paziente di individuare la sua sensibilità estrema al giudizio, per cui si sente inadeguata, as es., al lavoro. Il senso di inadeguatezza e malessere le rendono difficile uscire di casa, sentendosi esposta a sguardi giudicanti che ne commentano in negativo l’aspetto e le capacità intellettuali. Riformulare il problema in termini interni (un certo atteggiamento), piuttosto che in termini esterni (un vicolo cieco dovuto a una biografia difficile) consentirà la riformulazione dell’obiettivo, come un cambiamento di atteggiamento in cui si potrà attivamente impegnare, piuttosto che come una “normalità” della quale il terapeuta si possa far garante.

Il momento dello scompenso alla luce dei Cicli interpersonali di Priscilla

Molto del disagio di Priscilla è vissuto all’interno delle relazioni e le sue oscillazioni emotive si presentano, tipicamente, entro cicli interpersonali disfunzionali che abbiamo chiamato: idilliaco, bisognoso, rivendicativo, ostile, espiante, del controllo e autogratificante. Non a caso decide di affrontare il percorso terapeutico proprio dopo un litigio con la madre durante il quale ha provato un intenso senso di disperazione. Ogni ciclo si perpetua in maniera stabile finché i comportamenti dei partecipanti sono “complementari” per poi destabilizzarsi quando cambia qualcosa a livello interpersonale (l’altro esce fuori da questi schemi) oppure intrapsichico (cambia la percezione che la paziente ha di sé o dell’altro). Quando un ciclo si destabilizza la paziente entra in un uno degli altri dando vita ad altre dinamiche che, a loro volta, si mantengono per un certo periodo di tempo per poi scompensarsi (disperazione).
L’analisi che segue non intende proporre una teoria dei cicli interpersonali valida per tutti i pazienti DAP. Piuttosto, intende essere una proposta di integrazione tra il modello Cognitivo di Guidano e quello Interpersonale della Benjamin, che desideriamo condividere. Di questi cicli, per esigenze di spazio, ne descriveremo dettagliatamente solo alcuni. Gli altri li analizzeremo quanto basta per renderli comprensibili al lettore. In ultimo, pur sapendo che i seguenti cicli sono
caratterizzati anche dall’alternarsi di diversi schemi, sistemi motivazionali interpersonali e malfunzionamenti a livello metacognitivo, almeno in questa sede non ci soffermeremo su questi aspetti.
La madre sveglia Priscilla personalmente ogni mattina al momento giusto perché possa arrivare al suo studio in orario (ciclo del bisognoso). I tempi di vita sono ancora scanditi da qualcun altro: non appare raggiunta la capacità di gestirsi e organizzarsi in modo autonomo (fluttua senza direzione: 328; trascura alternative: 327; si perde in fantasie e sogni: 326; trascura le proprie potenzialità: 325; non si capisce, non sa definirsi: 324).. La conflittualità con la figura materna è il dato più evidente: la lite è continua, pervasiva, logorante (ciclo ostile). Le riappacificazioni sono altrettanto continue (ciclo espiante), in un’oscillazione vertiginosa di grandissima conflittualità e intimità. Le due fanno molte cose assieme. Curano il bel giardino perimetrale del loro spazioso piano terra, cucinano insieme, acquistando specialità e delicatessen nei negozi più raffinati (ciclo idilliaco). Priscilla sa fare un po’ tutto: si tinge e si allunga i capelli da sé, ricostruisce con precisione le unghie sue e delle amiche, è in grado di trovare, in giro per la città, piante rare, fiori, bigiotteria, trucchi costosi e vestiti firmati comprandoli per poco (ciclo autogratificante).
Un giorno, si sveglia con la febbre alta: la sera prima non si è controllata con il cibo e ha una colica (ciclo del controllo). Le aderenze fanno male, una ferita comincia a sanguinare e in un attimo il letto si macchia di sudore e sangue. La madre la soccorre, ma la sua espressione appare alla paziente come congelata in uno sguardo carico di rimprovero. Mette quindi in atto un comportamento caratterizzato sia dalla totale presa in carico della figlia (gestire, controllare: 140) che dal biasimo nei suoi confronti (accusa, biasima: 135). Priscilla non può far nulla se non accettare quelle cure fredde (cede, si sottomette: 240), ma dentro di lei sente di star passando definitivamente il segno: la sofferenza è troppa, fisica, interiore; si traduce in un attimo di rabbia polemica verso la madre, alla quale chiede, per l’ennesima volta, di essere capita (ciclo rivendicativo). Non riesce minimamente a valutare l’impatto emotivo che deve avere, per le persone che le vogliono bene, vederla in uno stato simile, o la fatica, l’impotenza, l’incapacità di sottrarla a interventi che si sono rivelati progressivamente sempre più costosi e dannosi. Legge solo la mancanza di disponibilità e pensa “Ma non capisce quanto mi sono umiliata per chiamarla? Perché mi vuole umiliare ancora di più?”. Priscilla quindi si chiude in se stessa (si trincera, non si apre: 225) e, dentro di sé, biasima la madre (accusa, biasima: 135). Ripresasi dallo choc e curata la febbre, la paziente giunge, infine, in psicoterapia.
Nel ciclo idilliaco Priscilla cerca di raggiungere e mantenere uno dei due stati relazionali desiderati, ovvero quello nel quale, in maniera libera e spensierata, può godere dello scambio affettivo con l’altro attraverso comportamenti reciproci e complementari codificabili nel primo quadrante del modello SASB caratterizzato da valori positivi di amore e libertà.
Il ciclo autogratificante è molto simile a quello idilliaco, anche per quanto riguarda lo stato desiderato, solamente che viene messo in atto da sola, senza nessun interlocutore. Tutto viene codificato, quindi, sulla superficie Introietto. Priscilla si prende cura di sé e sta bene con se stessa mettendo in atto comportamenti che le permettano di dimenticare i suoi problemi e di sentirsi competente. Di fondo, però, sono attività (ad esempio andare in giro per negozi, cercare cibi e fiori rari, etc) che non soddisfano realmente i suoi bisogni e non risolvono i suoi problemi (fluttua senza direzione: 328; trascura alternative: 327; si perde in fantasie e sogni: 326; trascura le proprie potenzialità: 325; non si capisce, non sa definirsi: 324).
Nel ciclo bisognoso, invece, Priscilla cerca di raggiungere e mantenere il secondo stato relazionale desiderato, ovvero quello in cui può godere della presenza dell’altro (241) accettare le sue attenzioni (242) chiedere aiuto e appoggiarsi a lui (243). Parallelamente, però, questi comportamenti sono caratterizzati dalla trascuratezza per lo sviluppo e l’applicazione delle sue abilità personali (fluttua senza direzione: 328; trascura alternative: 327; si perde in fantasie e sogni: 326; trascura le proprie potenzialità: 325; non si capisce, non sa definirsi: 324) e anche dalla trascuratezza dei bisogni o gli stati emotivi dell’altro (trascura interessi e bisogni: 125). In ciclo gli scambi relazionali tra lei ed il suo interlocutore sono codificabili tramite i comportamenti prototipici complementari del quarto quadrante del modello SASB dove lei, tendenzialmente,
agisce focalizzandosi su di sé (Rispondente), desiderando che anche l’altro faccia altrettanto (Proponente). Nonostante questo Priscilla tende ad evitare attenzioni che giudica eccessivamente invadenti, anche quando vengono messe in atto affettuosamente (specifica cosa è meglio: 148; ricorda doveri: 147). Da questo ciclo Priscilla esce fondamentalmente quando si realizzano due delle sue paure principali: sentirsi invasa o disconfermata. Questi due timori tendenzialmente non tarderanno a verificarsi in quanto Priscilla, essendo alla ricerca di attenzioni da parte dell’altro, stimolerà in quest’ultimo una delle seguenti azioni: comportamenti complementari di accudimento che potranno trascendere in atteggiamenti eccessivamente protettivi (ricorda doveri: 147; specifica cosa è meglio: 148; controlla, gestisce: 140), soprattutto in risposta alla sua tendenza a trascurarsi e al fine di cercare di stimolare le sue risorse (cioè i comportamenti complementari sulla superficie Introietto, si sorveglia benevolmente: 347; si impone un’identità ideale: 348); tentativi di obbligarla a fare delle cose che lei cerca di delegare (costringe a conformarsi: 138; invade, blocca, limita: 137); rimproveri per il costante ripetersi di tale dinamica (svaluta, agisce da superiore: 136; accusa, biasima: 135). Un’altra possibilità è quella che possa essere Priscilla stessa a biasimarsi (dubita, si butta giù: 336; si incolpa, si biasima: 335; si inganna, si svia: 334; si punisce, si vendica su di sé: 333; si minaccia: 331), proprio perché il ripetersi di dinamiche dove è l’altro a prendersi cura di lei e a soddisfare i suoi bisogni conferma l’immagine negativa che ha di sé. In tutti i casi l’emozione prevalente è, innanzitutto, l’umiliazione seguita, subito dopo, dalla rabbia. Queste dinamiche sono alla base dell’attivazione di un ciclo rivendicativo – che inizia accusando e biasimando l’altro (135) – o anche, direttamente, di un ciclo ostile – che inizia attaccando (130) e minacciando (131) l’altro – , oppure la paziente si ritira dalla relazione (fugge, si ritira: 221; rifiuta aiuto ed attenzioni: 222; si allontana, piange tra sé e sé: 223) per entrare in un ciclo di controllo, generalmente iniziando dalla perdita di controllo (si trascura, si annulla: 330; trascura i bisogni di base: 322).
Priscilla, nel ciclo rivendicativo, caratterizzato dall’emozione del risentimento dovuto alla rottura dei cicli appena descritti o all’impossibilità di realizzarli, cerca di trovare dei mezzi per obbligare il partner a fornirgli ciò di cui ha bisogno, non considerando le emozioni o i bisogni dell’altro. E’ un ciclo di passaggio perché o il partner reagisce secondo le aspettative di Priscilla, ristabilendo così le dinamiche dei cicli idilliaco e bisognoso, oppure Priscilla passa ad agire secondo le modalità del ciclo ostile o del controllo.
Il ciclo ostile di Priscilla inizia con la rabbia verso l’altro per non aver soddisfatto i suoi bisogni e pertanto, cerca di punirlo attraverso comportamenti apertamente e attivamente aggressivi e distruttivi o, piuttosto, che lo sono passivamente o indirettamente. Dato che Priscilla avverte la necessità della relazione con l’altro per trovare il senso della propria esperienza questo ciclo è molto instabile in quanto ne ricava un’immagine di sé negativa (o meglio la conferma di tale immagine) e si sente in colpa. Inizia, a questo punto, un ciclo di espiazione oppure un ciclo di controllo. Nel ciclo di espiazione Priscilla cerca di farsi perdonare dall’altro e di recuperare i vantaggi degli stati relazionali del ciclo idilliaco e bisognoso.
Il ciclo del controllo è caratterizzato dal passaggio, a ritmi alterni, da un tentativo di eccessivo controllo ad uno di collasso. Questo collasso è il momento della perdita di controllo in cui vengono scaricati la tensione, il dolore e la deprivazione (si rifiuta, si emargina: 321; trascura i bisogni di base: 322; è avventata con sé: 323). In questo momento c’è un totale assorbimento nel comportamento ed un oscuramento del giudizio. In ogni modo, la vergogna riemerge quasi immediatamente e Priscilla si sente fallita (si incolpa, si biasima: 335; dubita di sé, si butta giù: 336) e tenta disperatamente di riacquistare il controllo dei propri comportamenti mettendo in moto meccanismi di eccessiva autolimitazione e autoimposizione (si impone comportamenti: 338; si limita, si trattiene: 337).

Convergenze

Questa paziente presenta un modo di stare nelle relazioni che esprime elementi DAP con loro peculiarità. La ricerca di attenzione è diretta, infatti, a qualcuno di cui Priscilla non si sa anticipare
una reazione. Se la reazione è positiva, il rapporto è fortemente idealizzato e illusoriamente infantilizzato; se è negativa, alla vergogna subentra un senso di umiliazione inaccettabile che innesca una rivalsa o comporta un atteggiamento svalutante (oppositività DAP). C’è una grande difficoltà a raccogliere informazioni sull’altro, che viene vissuto come il misuratore della propria adeguatezza/inadeguatezza piuttosto che come persona con una propria individualità e separatezza.
Dall’analisi dei cicli interpersonali emerge come senta il bisogno e cerchi con insistenza la relazione con l’altro per riceverne affetto, gratificazione e sostegno. Lo fa, però, a partire da una posizione infantile. Infatti, il focus della sua attenzione si rivolge anche all’altro solo quando può scambiare affetto in maniera libera e spensierata. Diversamente, tende a proporsi spesso come quella bisognosa di ricevere accudimento incondizionato dall’altro, senza però un eccessiva enfasi su quello che lei dovrebbe fare per risolvere realmente i suoi problemi. Non sembra invece manifestare adeguate capacità di prendersi realmente cura dei bisogni dell’altro.
Per quanto riguarda il rapporto con se stessa è buono finché si possono verificare le relazioni tipiche del ciclo idilliaco, bisognoso o autogratificante. E’, pertanto, un benessere condizionato e non reale. Priscilla, infatti, non sembra aver sviluppato adeguate abilità di gestione di sé e tende ad alternare modalità ostili e coercitive, con la trascuratezza di sé. Nel rapporto con se stessa, pertanto, non riesce, in modo amorevole, a controllarsi o individuarsi soddisfacentemente.
La paziente manifesta, comunque, un rapporto peggiore con se stessa di quello che ha con gli altri: pertanto la presenza dell’altro sembra migliorare il suo stato immediato.
Un’ultima riflessione sullo stile interpersonale di Priscilla riguarda alcune tipologie comportamentali che possiamo considerare centrali, in quanto frequentemente presenti, o assenti, in maniera complementare su tutte e tre le superfici (Sé, Altro e Introietto).
Il primo è la trascuratezza. Priscilla trascura i propri bisogni e quelli dell’altro, oppure lo sviluppo di abilità utili alla loro soddisfazione. Questo è un tipo di comportamento che ha quando è in relazione con un’altra persona, sia che il focus della sua attenzione si rivolto a sé (TRINCERARSI) che all’altro (IGNORARE), e anche nella relazione con se stessa (TRASCURARSI).
Il secondo è il biasimo. E’ un atteggiamento che ha nei propri confronti (BIASIMARSI), che rivolge verso l’altro quando lo attacca attivamente (BIASIMARE) o passivamente (ADOMBRARSI).

Il terzo è la mancanza di comportamenti caratterizzati da elevati livelli di amore e di controllo. Priscilla ha difficoltà a farsi carico dell’altro e dei suoi bisogni (CONTROLLARE), vive con sofferenza il doversi affidare completamente all’altro nei momenti di difficoltà (SOTTOMETTERSI) e, allo stesso tempo, ha difficoltà a prendersi cura di se stessa in modo determinato ma amorevole (CONTROLLARSI).
Il quarto è la mancanza di comportamenti caratterizzati da elevati livelli di libertà ed amore. Non riesce a dare completa libertà all’altro (EMANCIPARE), a separarsi da lui (SEPARARSI) o ad avere un’identità propria e ad essere autonoma (EMANCIPARSI).
All’interno del percorso terapeutico, riformulato come un cambiamento di atteggiamento possibile a prezzo di un certo impegno da parte della paziente, risultano ora ben definite le tipologie comportamentali da ridurre o eliminare e quelle, invece, da favorire e sviluppare.

Bibliografia

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Benjamin L.S. (2003), Interpersonal Reconstructive Therapy. Promoting Change in Nonresponders. New York, Guilford [trad. it. Terapia ricostruttiva interpersonale. Promuovere il cambiamento in coloro che non reagiscono. Roma, LAS, 2004].
Cantelmi T. (a cura di) (2009), Manuale di Psicoterapia Cognitivo Interpersonale, Roma, Alpes.
Cantelmi T. & Toro M.B. (2008). Psicoterapia Cognitivo-Interpersonale: un modello integrato. Idee in Psicoterapia, 1, 1, 9-18.
Guidano V. F. (1987) Complexity of the self. A developmental approach to psychopatology and therapy, New York, Guilford, [trad. it. La complessità del sé. Un approccio sistemico-processuale alla psicopatologia e alla terapia cognitiva, Bollati Boringhieri, Torino, 1988]

∗ Professore Ordinario (Regina Apostolorum, Roma), Direttore Scientifico SCINT
∗∗ Psicoterapeuta, Direttore Didattico SCINT
∗∗∗ Psicoterapeuta, Docente SCINT, Coordinatore ITCI