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Caporale R.

*tesi di specializzazione in Psicoterapia Psicodinamica Integrata, discussa presso l’Istituto Romano di psicoterapia Psicodinamica Integrata (IRPPI) di Roma.

Abstract

Il concetto di narcisismo a me piace ridefinirlo ad oggi come un organizzatore sovraordinato al quale tutti gli elementi dinamici fanno riferimento e che si declina in aspetti motivazionali, emotivo-affettivi e rappresentazionali del sistema Sé. Dunque, stando queste precisazioni non tutto il narcisismo è cattivo come il colesterolo! Si deve a Kohut (1984), lo smantellamento di una metapsicologia freudiana pulsionale e di una psicopatologia incentrata solo sull’ “uomo colpevole”. Oggi, il narcisismo (Freud, 1914), la libido narcisistica (Kohut, 1984), il narcisismo normale (Kernberg, 1984), il narcisismo di vita (Green, 1983) esiste quando l’autostima è regolata da una adeguata struttura del Sé collegata con rappresentazioni oggettuali interiorizzate integrate (Kernberg, 1984). E’ quello che Green (1983) si è sempre auspicato, ossia la nascita di una terza topica, quella del Sé-Oggetto.
Nei due casi clinici sopra esposti non troviamo tutto questo. Ciò che si evidenzia, invece, ha a che fare con la psicopatologia di un narcisismo caratterizzata da un’anormale struttura del Sè. Le due situazioni cliniche, precedentemente esposte, possono essere inquadrabili, infatti, malgrado differenze di grado e di intensità in una matrice comune, ossia come disturbi del Sé a vari livelli (Kohut, 1984), debolezze strutturali del Sé che derivano probabilmente da fallimenti evolutivi di diverso peso e qualità specifica.
Prendendo a prestito il modello della PPI, abbiamo una chiave interpretativa convincente su entrambi i casi clinici. E’ possibile che nella situazione 2, i fallimenti oggetto-Sé, i quali hanno dato vita ad un vero e proprio disturbo della personalità narcisistica, si siano declinati in una disorganizzazione del sistema di attaccamento, favorendo lo sviluppo di difese caratteriali narcisistiche (onnipotenza, idealizzazione primitiva, diniego) e di strutture compensatorie di tipo patologico (Sé grandioso patologico). Altrettanto vero, potrebbe essere che i medesimi fallimenti d’oggetto-sé, responsabili, invece, nello sviluppo di funzionamenti nevrotici, possano portare a difficoltà di integrazione tra un sistema sessualità ed un sistema attaccamento, costringendo la persona a vivere relazioni sessuali senza attaccamento, oppure relazioni affettive senza desiderio sessuale (Eagle, 2005). Il primo caso, quello del Cinese in coma, potrebbe andare in quella direzione.
Su questa base, comprensibile sarebbe la difficoltà evolutiva comune a questi due pazienti nell’ accedere ad una fase edipica o, meglio ridefinita dalla PPI, all’integrazione con un sistema sessualità, necessario al fine di raggiungere una solida identità e fare scelte di vita libere e consapevoli.
Ciò porterebbe a riconoscere che sia nei funzionamenti nevrotici che in quelli al limite sia riscontrabile un disturbo del Sè e che, dunque, la differenza riguardi solo l’intensità psicopatologica con la quale la polarizzazione narcisistica satura tutto il campo mentale. Più il Sé nucleare è debilitato da un sistema base sicura deficitario, più sarà incapace nel realizzare le sue potenzialità creative, e la sessualità adulta verrà esperita non come scelta oggettuale matura ma come dimensione perversa. E’ come costruire un castello su fondamenta di sabbia, sarebbe più facilmente esposto a frane.
Facciamo l’esempio attraverso il confronto tra il caso 1 ed il caso 2. Nel corso della terapia il ragazzo con il già radicato sdoppiamento tra sistema attaccamento e sistema sessualità e, li per li, con il rischio evolutivo nel corso degli anni futuri di scivolare verso una severa polarizzazione narcisistica, aveva, comunque, nelle sue potenzialità un Sé residuale attraverso cui è stato possibile lavorare terapeuticamente, favorendo una crescita psicologica ancora tutta in divenire. Gli indizi che deponevano a favore di un funzionamento ancora non compromesso, narcisisticamente parlando, potevano essere riassunti in quattro punti: la produzione di sogni e di materiale a contenuto edipico, la capacità di elaborare e riutilizzare le interpretazioni da me fornite, il miglioramento nel tempo dei pattern relazionali fuori dalla terapia, il mantenimento costante del setting.
Il “mazziere” (Caso 2) non ha mai dimostrato tutto questo, anzi quasi il contrario: una continua attivazione di transfert narcisistici speculari ad alta intensità, rigidi e fissi, l’incapacità nel riconoscere e descrivere stati affettivi ed intenzioni altrui, la desertificazione affettiva, la rottura del setting.
Riassumendo, è come se noi affermassimo alla Kohut che non esistono nevrosi da conflitto strutturale che alla base non abbiano un qualche difetto del sé, malgrado, ancora in molte situazioni, è altrettanto evidente come tra funzionamenti nevrotici ed al limite si riconoscano qualia psicopatologici differenti. Penso che siano ipotesi più credibili rispetto a quelle che hanno permeato tutta la cultura classica, nella quale si credeva cecamente ad un rapporto di causalità quasi lineare tra specifica fase di fissazione evolutiva e conseguente quadro psicopatologico.
Ora, partendo dal marker comune del narcisismo patologico e dalle differenze di funzionamento della personalità dei casi in questione, mi sento di concludere questo lavoro centrando alcune questioni chiave sulla tecnica psicoterapeutica nelle dimensioni narcisistiche.
Prima di tutto, non mi ritrovo in quello che Kohut diceva riguardo allo sviluppo del transfert in pazienti con patologia narcisistica: “l’evolversi della traslazione ripete le sequenze evolutive, ma nell’ordine inverso”. Sia nel caso del Cinese in coma che del mazziere di Anguillara Sabazia assistevo all’emergere di un unico e solo Sé grandioso patologico che saturava quasi tutto il campo osservabile. All’inizio, in entrambe le terapie, non vi era null’altro. Poi però, nel dispiegarsi dei processi, si sono viste le differenze. Concordo con Kohut (1984), invece, quando afferma che il gruppo dei disturbi della personalità che considera analizzabili può essere differenziato solo in base a come si dipana il transfert, invece che attraverso indicatori unicamente clinico-descrittivi. Infatti, è proprio la diversità negli sviluppi della traslazione che ha successivamente svelato le differenze di potenziale residuale. Il ragazzo avrebbe portato in seguito del materiale analitico in cui vi erano condensati e compresenti relazioni oggettuali primitive miste a conflitti di derivazione edipica. Il mazziere no, la sua organizzazione narcisistica aveva saturato tutta la sua personalità desertificando affettivamente qualsiasi relazione oggettuale.
Seconda riflessione è sulla strategia da impiegare nel trattamento. Sono concorde con Kernberg (1984) che il baricentro della psicoterapia con personalità che presentano dimensioni narcisistiche così evidenti sia l’analisi sistematica del Sé grandioso patologico, così come si presenta unilateralmente nel transfert. Certo, è saggia l’accortezza di Modell (1983) nell’usare prudenza, soprattutto durante la fase iniziale del trattamento, corrispondente alla fase “bozzolo” della terapia. Ma è anche vero che la reticenza nell’utilizzo dell’interpretazione deriva da uno sbagliato convincimento secondo il quale sarebbe il contenuto stesso dell’interpretazione ad essere troppo pericoloso per il fragile equilibrio della personalità; invece, perché non pensare quanto sia importante anche la forma con la quale la si propone! Molto spesso, infatti, la tenacia, la rigidità e la ubiquità con la quale la si formula può veicolare un atteggiamento sadico o, comunque, aggressivo del terapeuta nei confronti del paziente. Ecco che a questo punto, non è l’interpretazione in se una sbagliata tecnica con questi pazienti ma una strategia complessa per terapeuti complessi.
Terzo ed ultimo punto è un convincimento sullo sviluppo della psicoterapia con tali pazienti. Sono concorde con Kohut (1984) e Kernberg (1984) che in molti casi il trattamento verso una dissoluzione del sé patologico fallisca, in altri invece, dopo diversi anni, evolva verso orizzonti nuovi. Come ricorda lo stesso Kernberg (1984), molto difficilmente si raggiunge questa fase prima del terzo anno di trattamento e che se, comunque, non si manifesta entro il quinto, ci sono seri dubbi sulla sua possibilità di risoluzione. Qualora sia possibile andare verso la disintegrazione del sé patologico nelle sue componenti di Sé ideale, Sé reale e rappresentazioni oggettuali idealizzate, tutti gli autori concordano (Kernberg 1984, Modell, 1983, Kohut, 1984) che il percorso psicoterapeutico assomigli ad un analisi normale, come con pazienti nevrotici, in quanto i soggetti ora hanno a disposizione la capacità di stabilire una reale dipendenza dal terapeuta. Dunque, in conclusione è come se il narcisismo patologico sia una complicazione ad un ideale trattamento psicodinamico: analisi sistematica del Sé grandioso patologico – integrazione di parti dissociate, scisse e proiettate della personalità – risoluzione di conflitti edipici ed integrazione del sistema sessualità.

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