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Caporale R. (2009)

*lavoro presentato presso l’Istituto per le Ricerche Europee in Psicoterapia Psicoanalitica (IREP) di Roma.

Abstract

Dopo aver sviluppato l’ argomento da diverse angolature, vorrei ora porre tre riflessioni conclusive, che credo riassumano i passaggi più interessanti di tutto il lavoro.
La prima riguarda la riformulazione del setting come disposizione mentale del terapeuta. Egli stesso propone al paziente un tipo di relazione diversa da qualunque altra e, attraverso le indispensabili capacità di empatia e mentalizzazione, lavorerà sul vecchio per creare il nuovo. Non esiste alcuna organizzazione di spazi, luoghi, tempi e modalità comportamentali senza un pensiero dietro, ossia quello del terapeuta. Un assetto mentale costante e flessibile, quasi mai perfetto come d’ altronde la natura umana. Tale atteggiamento definisce un campo relazionale nuovo, delimitandolo, attraverso dei confini, da un contesto allargato oramai già conosciuto. Tutto ciò fonda la matrice psicodinamica del setting e ne definisce la particolarità dell’ intervento stesso.
La seconda considerazione parte dalla funzione terapeutica “ muta “ cui il setting si fa carico: da ruolo periferico di catalizzatore e facilitatore di dinamiche trasferali a ruolo centrale di fattore trasformativo-strutturante in se. Avanzo l’ ipotesi che il setting si muova come agente attivo di cura in maniera molto simile ad una modalità evolutiva primaria di generare l’ esperienza. Ogden la definisce modalità “ contiguo-autistica “, Modell ne parla, invece, nei termini di “ bozzolo “ e di “ difesa del non rapporto”. L’ originale sistematizzazione concettuale di Ogden si rifà alle idee ed alle ricerche di autori del calibro di Esther Bick, Donald Meltzer e Frances Tustin. Da un punto di vista evolutivo, la modalità contiguo-autistica consiste in un precoce senso di confine di sé e l’ altro, basato sul ritmo delle sensazioni sulla superficie corporea. L’ autore stesso descrive tale esperienza così: “ … si tratta piuttosto di un rapporto fra forma e sensazione di contenimento, tra battuta musicale e sentimento del ritmo, tra percezione del duro e sentimento del limite. Sequenze, simmetrie, periodicità, “ adattamento “ pelle-a-pelle, sono altrettanti esempi di contiguità e costituiscono gli ingredienti di una iniziale e ancora rudimentale esperienza di sé “. Analogamente, Modell, nel documentare i vari passaggi delle terapie, attraverso la descrizione della difesa del
“ bozzolo”, racconta proprio l’ illusione e la speranza dei suoi pazienti nel poter rivivere tutto questo, forse per la prima volta, in maniera meno traumatizzante.
L’ ultima riflessione tocca un argomento sotteso a tutto il lavoro qui presente: la questione epistemologica. Molti potrebbero chiedersi perché accostare setting ed epistemologia? D’ altronde qualsiasi concetto si potrebbe rapportare a tale problema di fondo! Io credo di no, non tutto si può rapportare all’ epistemologia, ed il setting sicuramente più di altri concetti entra visceralmente in contatto con esso. Il setting è una “ matrice epistemologica nuova “ che conserva il vecchio metodo osservativo-sperimentale delle scienze naturali coniugandolo con quello che già Vico, in tempi non sospetti, aveva chiamato “ l’ entrare con l’ immaginazione in mondi diversi dal proprio “, un senso che ci permette di conoscere, riguardo alle esperienze di altri uomini, molto più di quanto possiamo mai sapere sulla natura non umana. Modell sana una frattura epistemologica secolare su questi due modi di conoscere e fare esperienza, attribuendo allo statuto psicoanalitico la coesistenza di entrambi. Allo stesso modo, il setting diviene la prova tangibile di tale nuova realtà, in cui natura e cultura si intrecciano senza mai dissolversi l’ una nell’ altra.

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